BIMESTRALE DI CULTURA E VITA SOCIALE

EDITORE: Associazione ALTRO FUTURO - Cadorago CO - altrofuturo@gmail.com

domenica 6 dicembre 2009

Laicità e simboli religiosi


La prima impressione è stata di fastidio: credente e laico convinto, sostenitore senza riserve dell’aconfessionalità nei rapporti istituzionali, l’idea di dovermi confrontare in una vicenda che rischia di assumere i caratteri di uno scontro nel nome della religione mi metteva a disagio. Un disagio amplificato proprio dalla possibile strumentalizzazione che ne poteva sorgere: quello che oggi manca (che serve) in Italia non è certo il riaccendersi di un conflitto religioso e di una guerra ideologica.
La seconda impressione è stata di stupore: mi chiedevo cosa significasse togliere il crocefisso dai luoghi pubblici per non correre il rischio di turbare alla sua vista le sensibilità di eventuali frequentatori. Com’è possibile che di fronte alla più pacchiana e dimostrata scandalosa indifferenza ed ignoranza del fatto religioso (basti seguire le trasmissioni ed i quiz televisivi) si sottolinei addirittura la possibilità del coinvolgimento emotivo di fronte al simbolo di una religione? Ed il lettore sa dirmi se in quel tale edificio pubblico vi sia o non vi sia un crocefisso appeso al muro?

La terza impressione è di dispiacere: era davvero impossibile evitare l’appello alla Corte di Strasburgo, richiamandosi addirittura alla Convenzione dei Diritti dell'Uomo? E’ un testo normativo certo pertinente, ma alquanto sproporzionato se si pensa a quali e quanti diritti umani sono impunemente e atrocemente violati in tutto il mondo e alla compressione vicino allo zero che per contro la presenza del crocefisso nelle aule scolastiche infligge ai diritti umani dei fanciulli che sono costretti a vederlo.
Ovviamente, dopo le impressioni, si impone la valutazione più attenta della questione, della quale si sono già confrontate, non solo dopo la sentenza della Corte di Strasburgo, varie posizioni favorevoli o contrarie alla esposizione del crocefisso nei luoghi pubblici. Mi limito perciò a qualche considerazione, dicendo subito che non ritengo affatto ragionevole, né per la nostra tradizione, né per l’interesse dell’umanità in genere, la rimozione del nostro simbolo religioso, oscurandone la presenza per legge. Vorrei però estendere il concetto ad ogni simbolo religioso, perché se mi limitassi al nostro crocefisso rischierei di dare ragione a chi sostiene che tale simbolo non può marcare l’esclusiva dalla rappresentanza religiosa.
Parlo dunque di una non rimozione, pur nella consapevolezza che per come il quesito era posto, difficilmente poteva esserci differente sentenza. Infatti in discussione non c’era né il significato religioso o civile del crocefisso, né la percezione positiva o negativa degli studenti. Il giudizio verteva sull'obbligo, imposto dallo Stato, di mettere il crocefisso nelle aule scolastiche; come dice la Corte di Strasburgo "sull'esposizione obbligatoria di un simbolo di una data confessione religiosa" nel contesto di una funzione pubblica gestita dal governo. E a quest’obbligo si oppongono tutti i principi del moderno Stato di diritto.
Credo però non ci sia solo il diritto scritto, ci sono consuetudini e cultura comune (seppur mutevoli in quanto i cicli evolutivi un tempo duravano secoli, oggi decenni) e se dunque si pensasse alla rimozione del crocefisso si darebbe per scontata l’assenza della motivazione religiosa nell’esperienza dei popoli e della persona umana, smentita anche dalla più attenta valutazione culturale e scientifica. Mentre la storiografia ha superato da tempo l’idea di una lettura limitata agli aspetti istituzionali per sottolineare l’importanza delle mentalità e dei costumi popolari, mentre si rivalutano anche le sensibilità religiose popolari nel condizionare le diverse tradizioni e le disparate strutture culturali, quale sarebbe la logica che vorrebbe negare la presenza di un simbolo di questa fondamentale componente dell’esperienza popolare?
Permettetemi però una piccola aggiunta, su cui pure si è svolta qualche considerazione in proposito. C’è una tendenza ad esorcizzare la realtà più condivisa dell’umanità: parlo del dolore, di cui il crocefisso rappresenta forse la più emblematica delle espressioni, quel dolore che purtroppo non risparmia nessuno, credenti di qualsiasi fede religiosa e non credenti. Ma noi non ne vogliamo prendere atto; presi dalla frenesia di una vita fatta di prospettiva godereccia, falsa quanto illusoria, vogliamo dimenticare la realtà più comune all’umanità e ne traiamo le più coerenti ma illogiche conclusioni.
Un’ultima considerazione: ritengo molto riduttivo limitare il crocefisso ad un semplice suppellettile, ad un simbolo della nostra tradizione, ad una testimonianza della nostra cultura, ad un segno della nostra identità da paragonare pure al prosciutto che alcuni sostengono vogliano toglierci delle mense scolastiche; tutte posizioni atee, ma alquanto devote, che tendono a lucrare i benefici della religione come religione civile.
Volente o nolente, il crocefisso rimane il simbolo di una religione e non dello stato italiano. Ed in queste affermazioni ritorna il mio fastidio iniziale: l’ultima cosa che vorrebbe il nostro Dio (il Dio dell’amore) che su quella croce vi si trova appeso, è di portare l’inquietudine, l’inimicizia e lo scontro nella società ed in particolare nei luoghi (la scuola) dove una generazione sta scegliendo (e forse solo subendo) il proprio futuro. Allora cerchiamo di contrastare iniziative che potrebbero FAR DEL MALE alle nuove generazioni, di origine italiana e non. Quali colpe hanno loro e quali meriti noi? Credo questa sia una risposta vera a tante parole sul crocefisso ed il suo messaggio universale.

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