BIMESTRALE DI CULTURA E VITA SOCIALE

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domenica 6 dicembre 2009

Così si crea la fame nel mondo

Per dare vita alla sezione EconoMia del nostro giornale e per arricchirla di contenuti, la redazione di “La Gallina Domani” ha deciso sia di riprendere scritti di personaggi noti sia di collaborare con alcune importanti realtà editoriali nell’ambito dell’economia sociale e la finanza etica, come la testata “Valori”, il mensile diretto da Andrea Di Stefano, presente anche con una versione online, dal quale nei prossimi numeri verranno ripresi articoli su temi di punta.
Nel mese di novembre si è tenuto a Roma il vertice FAO sulla fame del mondo e abbiamo quindi ritenuto significativo riprendere in questo numero di “La Gallina Domani” la sintesi di un articolo che il sociologo Luciano Gallino aveva pubblicato su “La Repubblica del 10 maggio 2008.



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Tempo fa l'allora presidente della Banca Mondiale, James Wolfensohn, ebbe a dire che quando la metà del mondo guarda in tv l'altra metà che muore di fame, la civiltà è giunta alla fine.
Ai nostri giorni la crisi alimentare che attanaglia decine di paesi potrebbe far salire il totale delle persone che muoiono di fame a oltre un miliardo. Con una precisazione: la nostra metà del mondo non si limita a guardare quel che succede. Si adopera per produrre materialmente lo scenario reale che poi la tv le presenta. Sebbene varie cause contingenti - i mutamenti climatici, la speculazione, cinesi e indiani che mangiano più carne, i milioni di ettari destinati non all' alimentazione bensì agli agrocarburanti, ecc. - l'abbiano in qualche misura aggravata, la fame nel mondo di oggi non è affatto un ciclo recessivo del circuito produzione alimentare-mercati-consumo.

Si può anzi dire che per oltre due decenni sia stata precisamente la fame a venir prodotta con criteri industriali dalle politiche americane ed europee. L'intervento decisivo, energicamente avviato sin dagli anni ‘80, è consistito nel distruggere nei paesi emergenti i sistemi agricoli regionali. Ricchi di biodiversità, partecipi degli ecosistemi locali, facilmente adattabili alle variazioni del clima, i sistemi agricoli regionali avrebbero potuto nutrire meglio, sul posto, un numero molto più elevato di persone. Si sarebbe dovuto svilupparli con interventi mirati ad aumentare la produttività delle coltivazioni locali con una scelta di tecnologie meccaniche ed organiche appropriate alle loro secolari caratteristiche. Invece i sistemi agricoli regionali sono stati cancellati in modo sistematico dalla faccia della terra.
Dall'India all'America Latina, dall'Africa all'Indonesia e alle Filippine, milioni di ettari sono stati trasferiti in pochi anni dalle colture intensive tradizionali, praticate da piccole aziende contadine, a colture estensive gestite dalle grandi corporation delle granaglie. La produttività per ettaro è aumentata di decine di volte, ma in larga misura i suoi benefici sono andati alle megacorporation del settore. Da parte loro i contadini, espulsi dai campi, vanno a gonfiare gli sterminati slum urbani del pianeta. Oppure si uccidono perché non riescono più a pagare i debiti in cui sono incorsi nel disperato tentativo di competere sul mercato con i prezzi imposti - alle sementi, ai fertilizzanti, alle macchine - dalle corporation dell'agro-business. E’ noto che il braccio operativo dello smantellamento dei sistemi agricoli regionali sono stati la Banca Mondiale, il Fondo monetario internazionale, l'Organizzazione mondiale per il commercio. Non ultima, soprattutto per quanto riguarda l' Africa, viene la Commissione Europea, la cui Politica agricola comune ha contribuito a spezzare le reni a milioni di contadini africani facendo in modo che i prodotti europei costino meno, in molte zone dell' Africa, dei prodotti locali. Il tutto con la fervida adesione dei governi nazionali, che preferiscono avere buoni rapporti con le multinazionali che non provvedere al sostentamento delle popolazioni rurali. Il principio economico del vantaggio comparato viene reincarnato in complessi modelli econometrici digitalizzati e viene impiegato oggi nel tentativo di dimostrare che al contadino senegalese, o indiano, o filippino, conviene coltivare un' unica specie di vegetale per il mercato mondiale, piuttosto che coltivare le dozzine di specie di granaglie e frutti che soddisferebbero i bisogni della comunità locale. Una volta sostituito a migliaia di sistemi agricoli regionali in varia misura autosufficienti un megasistema agrario globale, il resto è seguito per vie naturali. Le grandi società dell' agrindustria accaparrano e dosano i flussi delle principali derrate in modo da tenerne alti i prezzi. Fondi pensione e fondi comuni investono massicciamente in titoli derivati del settore alimentare, praticando e incentivando la speculazione al rialzo. Alla fine prezzo del sistema agricolo globale lo pagano i poveri. La crisi alimentare in atto non è infatti dovuta alla scarsità di cibo; esso non è mai stato, nel mondo, altrettanto abbondante. E’ un problema di accesso al cibo, in altre parole di povertà, di cui il sistema agricolo globale ha immensamente elevato la soglia. Se un gruppo di tecnici avesse costruito un qualsiasi manufatto meccanico o elettronico tanto rozzo, perverso nei suoi effetti, costoso e vulnerabile quanto il sistema agricolo globale costruito da Usa e Ue negli ultimi vent' anni, verrebbe licenziato su due piedi. I funzionari delle organizzazioni internazionali che l' hanno costruito, gli economisti che hanno fornito i disegni di base, e i politici che ne hanno posto le basi con leggi e trattati, non corrono ovviamente alcun rischio del genere. Al singolo individuo di questa parte del mondo resta da decidere che fare. Può spegnere la tv, per non doversi sorbire ancora una volta, giusto all' ora di pranzo, il tedioso spettacolo di bimbi scheletrici che frugano nell' immondizia. Oppure può decidere di investire una quota dei suoi risparmi in azioni dell' agrindustria, come consigliano sul web dozzine di società di consulenza finanziari, perché i prezzi degli alimentari continueranno a crescere per lungo tempo. Infine può scrivere al proprio deputato in Parlamento chiedendogli di adoperarsi per far costruire attorno alla penisola, Alpi comprese, un muro alto dodici metri per tener fuori gli affamati. Se qualcuno conosce altre soluzioni che la politica, al momento, sia capace di offrire, per favore lo faccia sapere.

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