BIMESTRALE DI CULTURA E VITA SOCIALE

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domenica 13 dicembre 2009

Bruno Gambarotta - Saluto di benvenuto ai colleghi de “La Gallina domani”

Potevo lasciarmi scappare la gradita occasione di mandare un saluto di benvenuto ai colleghi che hanno deciso di dare vita a un nuovo periodico, “La gallina domani”? Proprio io, che ho appena pubblicato da Garzanti un romanzo intitolato “Polli per sempre”? Benvenuti dunque nel pollaio Italia.

Mi rifiuto però di confezionare un saluto formale; sarebbe una perdita di tempo da entrambe le parti; perciò approfitto dell'occasione per dire cosa mi piace e cosa non mi piace nel giornalismo. Prima voglio congratularmi per la scelta coraggiosa di andare controcorrente nella scelta della carta stampata, in una stagione dove tutta l'informazione sembra convergere sullo schermo del computer.
Sembra che il giornalismo on line, sotto forma di blog o altro, per il fatto di essere immateriale e volatile esenti chi lo pratica dall'obbligo di essere preciso, documentato, di scrivere in un italiano corretto, chiaro e comprensibile.
Tutt'altro discorso per la carta stampata, dove gli strafalcioni o la semplice sciatteria restano, nero su bianco, sotto gli occhi di tutti. Nelle redazioni situate negli open space, sui tramezzi che dividono un settore dall'altro, sono appiccicati ritagli con errori madornali e stanno lì per anni, a vergogna eterna di chi li ha commessi.
Bene, passiamo alle mie idiosincrasie di lettore: i calchi da titoli famosi, “la casta, la malasanità, la cronaca di qualcosa annunciato, i composti che terminano in poli (come tangentopoli)”. Ci sono poi espressioni che mi provocano l'orticaria, come “quant'altro”, o l'aggettivo “imperdibile” attribuito ad un film, uno spettacolo, un evento. (Se mi dici che è imperdibile io di proposito non vado a vederlo). Vengono poi i superlativi e le iperboli, “strepitoso, incredibile, fantastico, unico”. Gli avverbi mi fanno orrore; soprattutto ad inizio di frase. Gianpaolo Pansa, nelle sue memorie di giornalista, racconta che entrò nelle grazie del mitico Giulio De Benedetti quando questi lo vide mentre “passava” l'articolo di un corrispondente, dopo aver cancellato l'inizio dove si rincorrevano due avverbi (“Pressoché quotidianamente”) con un più tollerabile “Quasi ogni giorno”.
Un altro detestabile vezzo, ricorrente nelle pagine culturali, consiste nel dare un'informazione conosciuta da quattro persone in tutto il mondo, usando l'intercalare “come tutti sanno”, così il lettore, che non lo sapeva, si sente un verme. E poi: lo sfoggio di una lingua lussuosa e specialistica. Esempio: “L'universo è anisotropo per meno di 10 alla meno 4”, significa: “Nell'universo la materia non è uniformemente distribuita per meno di una parte su diecimila”. Con la seconda frase c'è la speranza che qualcuno comprenda e prosegua nella lettura.
Infine, vi dico cose che sapete meglio di me: non possiamo contare sul fatto che i nostri articoli vengano letti dal principio alla fine, perciò cerchiamo di dire tutto nelle prime righe e poi sviluppiamo il tema a favore di chi vorrà leggerci fino in fondo. Gli incipit sono fondamentali, devono essere dei pugni nello stomaco tali da inchiodare il lettore, incuriosendolo. I grandi scrittori ne hanno inventati di bellissimi, esistono anche delle raccolte. Per dire, quelli di Gabriel Garcia Marquez che molti hanno scopiazzato, come il seguente: “Il giorno che l'avrebbero ucciso, Santiago Nasar si alzò alle 5 e 30 del mattino”. In ogni caso la brevità e la concisione non saranno mai elogiate a sufficienza. Non ricordo più chi, ma di sicuro era un grande colui che scrisse in una lettera ad un amico: “ti scrivo una lunga lettera perché ho fretta e non ho a disposizione il tempo che occorrerebbe per fartela breve”.


In bocca al lupo dal vostro Bruno Gambarotta.

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